Fondazione Bambini e Autismo: un altro alfabeto è possibile

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Fondazione Bambini e Autismo: un altro alfabeto è possibile

È quasi un protocollo: se un ragazzo autistico arriva in stato di agitazione in pronto soccorso l’intervento più probabile è la sedazione. “Si seda prima di qualsiasi esame obiettivo, prima di tentare una qualsiasi forma di ascolto, salvo poi magari capire il giorno dopo che il ragazzo in questione urlava perché aveva un chiodo nell’orecchio e non era in preda invece a un’incomprensibile crisi”. Questo episodio, ce lo racconta Cinzia Raffin, presidente della Fondazione Bambini e Autismo, mostrandoci così uno dei tanti muri che separano le persone con autismo dal resto del mondo che troppo spesso si arrende al loro doloroso silenzio.

“I Disturbi dello Spettro dell’Autismo (ASD) sono frutto di una traiettoria atipica del neuro-sviluppo che determina una condizione lifetime – spiega –. Di autismo non si guarisce, non fino a oggi almeno, ma fino a quando non guarderemo a questa come a una condizione che ha bisogno di essere compresa imparando un altro alfabeto, un altro modo di declinare la realtà, rischieremo di non vederne tanti di chiodi nelle orecchie”.

Cinzia Raffin è madre di un ragazzo autistico, ma è anche una psicoterapeuta che quando ha cominciato i suoi pellegrinaggi sanitari alla ricerca di una diagnosi per suo figlio e a ogni diversa tappa otteneva una diversa risposta, ha fatto di quell’esperienza un obiettivo, decidendo che ai bambini e alle loro famiglie serviva una bussola e che bisognava disegnare un percorso in cui la difficile condizione di essere autistici e di avere un figlio con autismo acquistasse un senso e una dignità.

È nata così la Fondazione Bambini e Autismo, una realtà modello, con sede in Friuli Venezia Giulia e in Emilia Romagna, che è diventata un Centro di riferimento di eccellenza nella presa in carico globale delle persone con ASD, proponendo un modello di presa in carico che va dalla diagnosi fino ai programmi terapeutici e ai progetti di vita passando attraverso la formazione non solo degli operatori ma anche delle componenti sociali e del territorio. Operazione indispensabile senza la quale nessuna riabilitazione e nessuna inclusione reale è possibile.

L’idea di Cinzia Raffin è quella che una sanità generica non serva a nulla, e che per i bambini autistici così come per gli adulti sia necessario un piano sanitario dedicato, che contempli anche risposte per la tutela della salute e per l’emergenza attraverso protocolli specifici come quelli che la loro Fondazione ha messo a punto per l’accesso ai pronto soccorso e che prevede per questi pazienti, tra l‘altro, una stanza dedicata e costruita su misura.

“Accogliere nelle comunità i ragazzi con autismo significa imparare a conoscere il modo differente in cui pensano il mondo, significa creare una realtà plastica, che si flette alle loro peculiarità, che sa fare della loro diversità, quando è possibile, anche una risorsa – afferma la Dott.ssa Raffin -. Nel nostro centro lavorativo, l’Officina dell’Arte, abbiamo cercato di creare le condizioni migliori perché i giovani adulti possano sviluppare i loro talenti. Lo abbiamo fatto misurando su di loro l’architettura, con attenzione alle percezioni sensoriali, provando ad attutire i rumori, calibrando la luce e scegliendo tra le attività, quelle a cui sono più inclini, come per esempio il mosaico, che richiede una precisione e un senso estetico ben rappresentato nelle numerose mostre che in Italia espongono le loro opere”.

Alto e basso funzionamento. Sotto il cappello dei Disturbi dello Spettro Autistico, adesso ci sono tutte le forme di autismo, da quelle più gravi, con ritardi cognitivi e nel linguaggio, fino a quelle a medio e ad “alto funzionamento”, i cosiddetti ragazzi “aspie”, quelli una volta definiti Asperger, che possono vantare quozienti intellettivi elevatissimi, tra cui ci sono stati e ci sono scrittori, fisici, musicisti, premi Nobel, uno per tutti, Einstein. “Quella dell’alto e del basso funzionamento può diventare una trappola concettuale – avverte la dottoressa Raffin –, si tratta di uno strumento per misurare la distanza dalla “neurotipicità”, cioè da un diverso modo di sentire e di percepire il mondo dovuto a un differente sviluppo neurologico e conseguentemente ad una diversa creazione di senso, ma questo non può e non deve farci abbassare l’attenzione né rispetto a una condizione né all’altra. Le persone con autismo, anche quando sono le prime della classe, quando scrivono la musica o si dedicano all’astrofisica, nel corso della vita rischiano episodi di bullismo, spesso hanno difficoltà a gestire il quotidiano e rischiano episodi depressivi anche gravi perché hanno difficoltà nelle relazioni emotive che li fanno sentire inadeguati, sotto la pressione di un mondo che, quanto più sono performanti, tanto più chiede loro di adattarsi e di essere diversi da come sono, generando frustrazione e dolore. Le persone con difficoltà cognitive, invece, sono spesso abbandonate a sé stesse e, siccome attualmente incurabili, nel migliore dei casi sono destinate a essere accudite, abdicando del tutto al tentativo di una conquista, anche minima, dell’autonomia possibile. Due facce della stessa dolorosa medaglia – conclude la Raffin – dell’essere diversi, dell’essere a rischio di due diverse solitudini”.

Secondo la Presidente della Fondazione Bambini e Autismo” la battaglia è solo iniziata: “Siamo andati in diversi posti d’Europa per capire cosa facevano gli altri per queste persone e abbiamo visto, nei modelli che funzionavano di più, come quello dei Paesi Baschi in Spagna, che la cosa più importante era l’individualizzazione della presa in carico e l’integrazione con il territorio e perciò la formazione che significa anche cambiamento culturale, sensibilizzazione. Noi abbiamo creato un modello in cui nelle nostre strutture i ragazzi non hanno orari rigidi e si assumono i compiti secondo le loro possibilità, sempre con l’obiettivo di aumentare le loro capacità e di stare bene, e in questo modello sono coinvolti tutti: dai genitori alla scuola al territorio; la formazione l’abbiamo fatta persino ai vigili del fuoco, alle forze dell’Ordine e abbiamo costruito un Vademecum per il soccorritore. Tutti gli eventi che promuoviamo, dalle mostre ai libri, ci servono per spiegare chi sono le persone con autismo e come possono essere accolte nei diversi contesti”. La prima esportazione di questo modello al Sud è stata fatta in Sicilia, dove è stata creata una realtà simile a quella dell’Officina dell’Arte di Pordenone che sta diventando oggi un modello studiato anche in diversi Paesi europei. “Abbiamo tutte le nostre strutture in centro. Non è vero che i nostri ragazzi vogliono stare soli – conclude la Raffin – siamo noi che dobbiamo tendergli una mano, stare insieme a loro senza chiedergli di essere ciò che non possono essere, rispettare i loro tempi e accogliere il loro silenzio, imparando a sentirli ugualmente vicini”.

 

Fonte: https://www.malattierare.gov.it/news/dettaglio/3507

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