La presa in carico globale

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La presa in carico globale


La presa in carico globale: il modello pordenonese

  

Filosofia ed etica

Le patologie croniche destrutturano i sistemi. Sia socialmente che individualmente gli esseri umani sono “organizzati” per condurre una vita “normale”, dove questo termine è da intendersi nel suo significato statistico. Quando accade qualcosa che fuoriesce dalle normali aspettative di vita, sia che si tratti di eventi di grande portata che coinvolgono più individui (calamità, conflitti, epidemie, ecc.), sia che si tratti di eventi che colpiscono singoli individui (incidenti, malattie, fallimenti, ecc.), i sistemi coinvolti si “disorganizzano”, l’entropia cresce, l’incertezza aumenta. Ci sono eventi destinati a rientrare nello status quo con un certo apporto di informazioni di facile reperibilità -malattie per cui esiste una cura farmacologica, ad esempio – ed eventi per cui non è possibile riportare i sistemi in uno stato di “normalità”: ad esempio patologie per le quali non esistono possibilità di guarigione. Tale è l’Autismo: uno stato di cronicità.
Lo stato di disabilità che l’autismo provoca nei sistemi coinvolti genera un grado elevatissimo di entropia. Il caos autistico può in alcuni casi compromettere gravemente la qualità di vita di tali sistemi, in altri comprometterne persino la sopravvivenza (morti per incidenti, omicidi, suicidi).

Nadalini, ucciso a 14 anni dalla madre nel 2001. 
Salvatore Piscitello uccide il figlio quasi quarantenne, Sergio nel 2003.
Nel Regno Unito il 4 giugno 2009 tre diciottenni hanno picchiato un adolescente autistico provocandone la morte.

Per riportare a livelli accettabili di ordine e organizzazione la persona affetta da autismo e i suoi sistemi di appartenenza è necessario apportare all’interno di essi una massiccia quantità di “informazione” o “neghentropia”.

Nel caso dell’autismo come di altre importanti patologie croniche non è possibile, per lo meno allo stato attuale delle conoscenze, intervenire sull’individuo per “normalizzarlo”, ma è necessario riorganizzare i sistemi di appartenenza per adattarli alla nuova situazione rappresentata dalla patologia. E’ necessario ridare loro “forma”, una “forma” diversa da quella a cui siamo normalmente abituati andando ad agire sulla conoscenza, sulla operatività, sulla cultura.
 
Queste azioni non possono  attuarsi che attraverso interventi di “cura” e di “formazione” a 360°.
In quale direzione devono andare questi interventi? A chi spetta la definizione degli outcomes (risultati)? Quali sono i sistemi dominanti che stabiliscono cosa è giusto fare, cosa è giusto aspettarsi?
A questi interrogativi ogni soggetto può rispondere in modo diverso a seconda del punto di vista da cui osserva il fenomeno dell’autismo.
 
I professionisti
I familiari
La società e i suoi servizi
Le persone autistiche
Aspettative
Aspettative
Aspettative
Aspettative
• La cura?
 
• Il cambiamento del comportamento?
 
• L’acquisizione di abilità?
 
• La ricerca?
 
• La guarigione?
 
• La riduzione delle crisi?
 
• L’acquisizione di autonomie?
 
• La speranza in un futuro migliore?
 
 La normalizzazione?
 
• L’obbedienza?
 
• La sostenibilità economica?
 
• L’integrazione?
 
 La felicità?
 
• L’autostima?
 
• L’autonomia?
 
• Il rispetto?
 
 

La Fondazione Bambini e Autismo considera legittimi ed informativi i bisogni espressi dai diversi sistemi, indicando tuttavia una scala di priorità: 1. persone affette da autismo, 2. loro famiglie,  3. i sistemi prossimali. Scala che ci siamo imposti di seguire nell’analisi dei bisogni e nella conseguente definizione degli obiettivi dei nostri interventi.

Secondo la nostra visione, è corretto considerare i bisogni di ciascuno dei sistemi sopracitati e rispondere in modo trasversale, così come è giusto riconoscere ciascuno di essi, al tempo stesso, come soggetto e oggetto di una presa in carico globale.

Questi bisogni vanno poi coniugati con altre necessità sulle quali si può agire, perlomeno in parte: luoghi, tempi, contenuti, processi.

L’insieme di risorse così definito è ciò che noi definiamo “sistema curante”.

Tutte queste risorse vanno “formate”, ovvero vanno strutturate per rispondere in termini adattivi alle esigenze di cambiamento organizzativo-culturale imposto dalla cronicità dell’autismo.
 
Con queste finalità etiche la Fondazione Bambini e Autismo ONLUS ha realizzato una rete di servizi integrati per una presa in carico che va dalla diagnosi precoce dei bambini sino alla costruzione dell’autonomia lavorativa, sociale e abitativa degli adulti con autismo, passando attraverso i servizi di “respiro” per i familiari e di formazione per i professionisti. Un sistema di servizi in grado di seguire la persona autistica in modo globale e longitudinale, fornendo al contempo supporto anche a tutte le risorse che le ruotano attorno, dalla famiglia alla scuola alle altre agenzie.
 
 

Il programma e le strategie di riferimento

 
Il modello pordenonese si è sviluppato sulla base di:
a) precisi riferimenti epistemologici,
b) suggestioni derivanti dalla ricerca scientifica
c) input ricavati soprattutto dal Programma TEACCH e dall’Applied Behavior Analysis
d) bisogni e istanze di natura culturale-territoriale.
 

Fondamenti epistemologici

La Teoria generale dei sistemi, la Cibernetica di secondo ordine ed in particolare L. von Bertalanfy, H. von Foerster, G. Bateson, J.G. Miller, H.R. Maturana, F.G. Varela, hanno fornito ai Fondatori chiavi di lettura imprescindibili per un approccio globale alla complessità dell’autismo.
Partendo dalla considerazione che i sistemi umani sono sistemi aperti che scambiano energia ed informazione con altri sistemi, che l’individuo stesso è un organismo composto di sottosistemi e inserito in sovra sistemi che lo contengono, è parso da subito evidente che qualsiasi servizio fosse rivolto esclusivamente alla “persona autistica” senza considerarne, da un lato, la profonda unicità che la compone (diversità genetica, funzionale, di stili cognitivi, di interessi, ecc. che i suoi sottosistemi manifestano), dall’altro, la varietà di sistemi prossimali e a cui appartiene (la famiglia, la scuola, l’ambiente lavorativo, l’ambiente sociale e fisico, ecc.), non avrebbe condotto a risultati efficaci.
Poiché, come si è detto, la “patologia” disorganizza l’individuo che la manifesta e il suo entourage, di pari passo la “cura” deve agire sulla persona, sui suoi sottosistemi (ad esempio il SNC) e sui sovra sistemi (i gruppi di appartenenza) così come deve cercare attraverso una informazione adeguata di cambiare e ottimizzare le relazioni che ci sono tra essi dato che quelle consuetudinarie fondate sulla neuro tipicità non rispondono alle esigenze imposte dalla disabilità autistica.

Suggestioni derivanti dalla ricerca scientifica

Nel mondo dell’autismo, come di altre malattie in cui non esistono cure di efficacia conclamata, c’è spazio per la proliferazione delle più bizzarre proposte di tipo miracolistico o semplicemente cialtroneristico. Il rischio che famiglie con un problema così drammatico come l’autismo si imbattano in tali proposte è elevato soprattutto oggi il cui accesso è facilitato dalla rete.
La scelta della Fondazione Bambini e Autismo è stata quella di affidarsi ai risultati della ricerca scientifica validata, sia per quanto concerne gli strumenti diagnostici, che per quanto attiene agli interventi di riabilitazione-educazione.
Sull’autismo non si conosce ancora molto, ma si conosce abbastanza perché si possano approntare programmi di intervento validati e di cui sia possibile misurarne oggettivamente i risultati.
Per questo fin dalla sua nascita la Fondazione ha destinato quote molto significative del suo budget alla formazione dei suoi operatori, al loro costante aggiornamento e all’acquisto costante di testitistica all’avanguardia. In Fondazione lavorano persone che non solo hanno acquisito nei loro curricola certificazioni di attendibilità come somministratori di test diagnostici per la ricerca e la clinica, ma che sono riconosciuti a livello internazionale come trainer certificati (per ADOS e ADI-R in Italia vi sono solo due trainer internazionali, uno dei quali lavora presso la Fondazione).

Input ricavati dal Programma TEACCH e dall’Applied Behavior Analysis

Il modello di presa in carico globale proposto dalla Fondazione ha come riferimenti validati dalla comunità scientifica internazionale:
   il programa TEACCH
   l’ ABA (Applied Behavior Analysis)
Il Programma TEACCH – Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Children sviluppato dall’University of North Carolina School of Medicine at Chapel Hill, nonché ripreso e suggerito dalla Linee Guida dell’Autismo della SINPIA – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – si riferisce a unmodello di presa in carico adottato da un’organizzazione integrata di servizi in un ottica longitudinale ed è un programma che prevede un insegnamento strutturato basato sull’approfondita valutazione dei punti di forza e di debolezza di ciascuna persona con autismo e su alcuni principi di carattere generale, quali: l’organizzazione dell’ambiente fisico, la scansione precisa delle attività, la valorizzazione degli ausili visivi e la partecipazione della famiglia al programma d’intervento. L’obiettivo è il potenziamento delle autonomie della persona e il miglioramento della sua qualità di vita personale, sociale e lavorativa. All’interno di questo sistema, i genitori sono considerati la fonte più attendibile di informazioni sul proprio figlio e vengono coinvolti nel programma di trattamento, sia per consentire la generalizzazione delle competenze acquisite, sia per garantire una coerenza di approccio in ogni attività (Schopler et al., 1980; Schopler et al., 1983).
L’ABA (Applied Behavior Analysis) ispirata agli studi di B.F. Skinner, applica i principi e le leggi del comportamento per aumentare abilità adattive e ridurre comportamenti socialmente problematici. E’ tra le metodologie di intervento di provata efficacia nel trattamento riabilitativo delle persone con autismo e perciò suggerita anch’essa dalla Linee Guida dell’Autismo della SINPIA. Molte delle strategie di intervento educativo attuate presso la Fondazione fanno riferimento agli approcci cognitivo-comportamentali ed in particolare al metodo ABA. Nelle tecniche educative ABA le abilità da insegnare sono suddivise in piccole unità, definite in termini osservabili e misurabili. Ogni componente/unità viene insegnata attraverso la manipolazione diretta di antecedenti e conseguenze al fine di incrementare la motivazione e dunque l’apprendimento stesso. L’ABA si avvale di un corpus di tecniche rigorosamente stabilite: discrete trials (prove distinte), rinforzo, insegnamento incidentale in ambiente naturale, analisi del compito (task analysis), concatenamento (chaining), prompting e fading (aiuto e sfumatura), assessment delle preferenze, economia con i tokens, comunicazione alternativa ed aumentativa, ecc…

Bisogni e istanze di natura culturale-territoriale

L’altro grande stimolo nell’approntare il modello pordenonese è stata la consapevolezza che i bisogni delle persone con autismo e dei sovrasistemi a cui appartengono (famiglie, gruppi sociali, ecc.) sono sì determinati dalle caratteristiche del disturbo, ma anche dalle caratteristiche del contesto, come le istanze culturali e le risorse territoriali.
Se in ambiente anglossassone presso le famiglie possono prevalere, ad esempio, istanze rivolte all’acquisizione di autonomie, in ambiente latino ad esse vengono sicuramente privilegiate competenze relazionali. Un aneddoto che uno dei Fondatori spesso riporta riferendosi all’esperienza avuta con famiglie italiane e americane che avevano dei figli autistici è il seguente: «se chiedi a una mamma americana di un piccolo bambino autistico non in grado di comunicare quale è la cosa che vorrebbe suo figlio imparasse a fare da grande, ti risponderà “a lavarsi i denti” o qualcosa di simile, se lo chiedi ad una mamma italiana ti dirà “a chiamarmi mamma” ».
Sono istanze culturalmente diverse alle quali però chi offre servizi per la “cura” deve prestare attenzione proprio in un’ottica di globalità.
Lo stesso vale per quanto riguarda il contesto territoriale sia dal punto di vista organizzativo sia per quanto riguarda la tipicità delle risorse in esso contenute.
Non si possono proporre ipotesi di servizi che non siano coerenti, in qualche misura, con la legislatura esistente: una classe speciale, assolutamente prevista ed auspicata in molti paesi stranieri, sarebbe improponibile in Italia perché non esiste nemmeno la normativa che la potrebbe sostenere.
Di contro si possono avere territorialmente risorse date da tradizioni specifiche a cui si può attingere per lavorare in una direzione di integrazione reale delle persone con autismo. Nella scelta delle attività lavorative che la Fondazione ha creato presso l’Officina dell’Arte, ad esempio, è stata decisiva la storica esistenza sul territorio regionale di un importante tradizione di arte musiva con la presenta di una rinomata scuola internazionale del Mosaico.
 

Il modello pordenonese: specificità

A partire dai riferimenti sopra menzionati, la Fondazione Bambini e Autismo ONLUS ha sviluppato in dodici anni di attività un sistema di servizi che costituisce esso stesso un modello ormai sempre più spesso visitato e studiato anche da altre realtà italiane e straniere.

Il modello pordenonese fonda quindi le sue radici nelle esperienze che a livello internazionale hanno mostrato maggiore efficacia, ma è al contempo calato – e calabile – nelle specificità culturali, normative, sociali e socio sanitarie del contesto di appartenenza.
Impostato su metodologie evidence based, si caratterizza altresì per la globalità della presa in carico, intesa in tutte le sua accezioni, per il monitoraggio sistematico degli interventi che attua e per il forte accento e la costante attenzione al rispetto della persona, delle sue inclinazioni e talenti e della personale “ricerca di felicità” cui ha diritto ciascun essere umano, non di meno la persona con autismo.
Alla base non vi è alcuna idea edulcorata della condizione che provoca l’autismo, ma piuttosto la convinzione che per ciascuna persona, indipendentemente dal livello di gravità della sindrome, si possa e si debba non solo approntare un percorso riabilitativo in senso stretto, ma anche un percorso di vita che miri il più possibile alla soddisfazione della persona e al suo benessere globale.
Il sistema creato dalla Fondazione Bambini e Autismo – con la sua completezza di servizi e qualità di offerta – dà concretezza a questa filosofia di fondo, traducendo nella pratica un modello che in questo modo non rimane teorico ma trova ragione in una applicazione costantemente sperimentata, tarata e giorno dopo giorno affinata.
 

Evidenza di efficacia, monitoraggi e verifiche, personalizzazione

All’interno del modello adottato dalla Fondazione vengono utilizzati, tanto per il trattamento quanto per la diagnosi, strumenti e metodologie la cui efficacia, sotto il profilo clinico, è stata riconosciuta in base alle evidenze riportate in letteratura scientifica e fintanto che tali strumenti e metodologie non risultino obsoleti o superati da nuove conoscenze.
Tutti gli interventi sono costantemente monitorati e sottoposti a verifiche. Follow up semestrali e annuali cadenzano la presa in carico dei casi seguiti, mentre schede per la programmazione e verifica giornaliere registrano l’andamento di ogni singolo intervento permettendo una pronta taratura e adeguamento dello stesso a partire dalla specificità del caso, del momento, dell’obiettivo educativo che si sta perseguendo.
Ogni Progetto educativo-abilitativo è individualizzato e viene personalizzato tenendo conto dei punti di forza e delle difficoltà specifiche di quella persona, ma anche dei suoi interessi e abitudini. Conseguentemente i materiali didattici, le attività educative, ma anche le proposte culturali e per il tempo libero vengono progettate a partire tanto dagli specifici obiettivi educativi formulati sulla base degli esiti della valutazione funzionale e dei successivi follow up, quanto dei gusti della persona, nel massimo rispetto delle sue inclinazioni e interessi.
La famiglia della persona in carico è considerata una risorsa molto importante e viene coinvolta in tutte le fasi dell’iter diagnostico e riabilitativo attraverso specifici percorsi di parent training, sistematici momenti di scambio e confronto, la possibilità dell’osservazione delle attività in aula didattica attraverso gli specchi unidirezionali e, non di meno, la possibilità di esprimere pareri, suggerimenti e osservazioni attraverso le frequenti indagini per il rilevamento della qualità percepita e della soddisfazione per i servizi fruiti.
Nondimeno sono da subito coinvolti nel Progetto di presa in carico anche i sistemi prossimali: dai nonni ai compagni di scuola, dagli insegnanti ai medici di riferimento, agli educatori e a tutte quelle persone che possono venire a contatto con la persona autistica ed influire sul suo benessere.
 

Globalità

Con l’espressione “presa in carico globale” la Fondazione si riferisce ad un’offerta in grado di fornire servizi e supporto alla persona con autismo e alla sua famiglia nei diversi momenti e situazioni della vita, dal momento della diagnosi sino al “dopo di noi”. Sono quindi evitati gli interventi a spot, a favore di servizi integrati, duraturi, sostenibili e calati nel contesto di riferimento in modo da sfruttare e ottimizzare le risorse di cui uno specifico territorio dispone.
Attualmente la rete della Fondazione si compone dei seguenti servizi:
 
Con il termine “globalità” la Fondazione si riferisce anche alla volontà di intendere la persona con autismo stessa nella sua globalità e quindi non solo con il suo insieme di bisogni primari e problematiche legate alla sindrome, ma anche con tutte le sue sfaccettature, diritti, aspirazioni.
Questo approccio viene adottato all’interno di tutti i servizi della rete. Il Programma “Vivi la città”, ad esempio, è finalizzato non solo alla costruzione di competenze e autonomie abitative, ma anche a far vivere alle persone autistiche, con il giusto supporto, una vita il più possibile ricca, fondata sul diritto di scelta e sull’accesso alle offerte culturali e di tempo libero che il territorio offre in una prospettiva di piena cittadinanza e inclusione sociale possibile. Con proposte concrete e progetti personalizzati ciò verso cui si vuole tendere è quindi una “abilitazione” chefavorisca anche i personali percorsi di ricerca di senso, col presupposto che il mondo interiore delle persone con autismo possa essere molto più sfaccettato di quanto si possa credere. Scrive a tal riguardo Oliver Sacks nella prefazione di Pensare in immagini, riportando le parole della scienziata e scrittrice nonché persona con autismo Temple Grandin “Non voglio che i miei pensieri muoiano con me. Voglio avere fatto qualcosa … voglio sapere che la mia vita ha un significato. Sto parlando delle cose che sono al cuore della mia esistenza”.
Un concetto di globalità così inteso si esplicita anche attraverso giornate di studio e confronto che affrontano questioni ancora troppo spesso trascurate o “scomode” quando riferite alla persona con disabilità mentale, ma non per questo meno significative e appartenenti alla sua vita, come la sfera della sessualità o della salute intesa nella sua accezione più ampia . A tal riguardo, nel 2008 la Fondazione Bambini e Autismo ha organizzato un importante convegno dal titolo “Sesso e affetti nella disabilità mentale”, mentre nel 2009, con l’evento “Farmaci e salute nella disabilità mentale”, ha voluto riflettere sul diritto alla salute e al benessere delle persone autistiche, presentando al contempo anche un importante protocollo per l’accesso di quest’ultime al Pronto Soccorso elaborato dalla Fondazione stessa assieme all’Unità di Emergenza dell’Azienda Ospedaliera di Pordenone.
 

Rispetto delle diversità e costruzione del “sistema territorio”.

Il modello di presa in carico della Fondazione Bambini e Autismo si basa su interventi focalizzati non solo sulla “acquisizione di abilità” da parte della persona autistica, ma anche sul suo diritto di essere il più possibile contenta. Il diritto alle cure infatti è indissolubilmente legato al diritto a vivere, per ciascuna persona, una quotidianità il più possibile serena. Ecco allora che la riabilitazione in aula è accompagnata da attività educative all’aperto e in città, in contesti di vita comuni e piacevoli, favorendo la generalizzazione delle competenze e l’apprendimento in ambienti naturali, e abituando la persona a situazioni che, indirettamente, possano rappresentare anche per la famiglia momenti di svago e di “respiro”.
Allo stesso modo, la “riabilitazione”, nel modello della Fondazione, non viene intesa in alcun modo come una sorta di “normalizzazione”, ma viene attuata nel rispetto della diversità di stile cognitivo che le persone con autismo hanno rispetto alle persone neuro tipiche. Ad esempio, se appare sensato lavorare per eliminare o ridurre stereotipie di tipo auto o etero lesionista o socialmente “inappropriate”, non appare al contrario sensato né etico togliere alla persona stereotipie innocue, anche se in qualche modo bizzarre, che hanno per la persona potere consolatorio.
Affinché le differenze vengano accettate e laddove possibile trasformate in risorsa, la società, il territorio, in una parola l’ambiente dovrebbero essere il più possibile preparati ad accogliere le persone con autismo. Per questo motivo, parte integrante del modello di servizi pordenonese, è rappresentato certamente dai servizi di formazione, ma anche dal sistema di informazione e divulgazione che contribuisce a creare anche tra i “non addetti ai lavori” una cultura attorno all’autismo. Esposizioni d’arte, eventi culturali, cinema, presentazioni di libri, incontri con l’autore, sono tutti elementi che contribuiscono a infittire la rete di presa in carico allargandola al territorio il quale viene col tempo ad essere più accogliente, sensibile e vicino alle persone con autismo e alle loro famiglie.
Il sistema di servizi della Fondazione – che prevede il coinvolgimento di famiglia, scuola e altre agenzie, con quella che abbiamo definito una “presa in carico globale” – mira, al contempo a costruire, giorno dopo giorno, anche un “sistema territorio” con processi di interscambio che si rafforzano nel tempo.
 

Qualità

La qualità è un elemento molto importante all’interno del modello pordenonese. Qualità gestionale, innanzitutto, attestata dalla Certificazione di Qualità UNI EN ISO 9001:2008 che tutti i servizi vantano, ma anche qualità dell’offerta, dei programmi e delle proposte educative e per il tempo libero.
Questionari e indagini di soddisfazione e continui momenti di confronto rilevano con sistematicità anche la qualità percepita, da parte delle famiglie e delle persone con autismo innanzitutto, ma anche del personale interno, dei committenti, dei partecipanti ai corsi e agli altri eventi formativi.
Il concetto di qualità riguarda anche ciò che viene creato dalle persone con autismo adulte inserite nei programmi lavorativi e residenziali: non lavoretti puerili e per passare il tempo, ma attività all’interno di laboratori, come quelli dell’Officina dell’arte, assolutamente professionali dove le persone lavorano affiancate da maestri mosaicisti formatisi alla rinomata Scuola per il Mosaico di Spilimbergo e producono opere che vengono vendute a prezzi di mercato ed proposte al pubblico in sedi espositive prestigiose.
La qualità si estende non di meno anche alle stesse proposte culturali e per il tempo libero, all’interno dei Programmi Respiro e soprattutto di “Vivi la città” prevedendo non solo la fruizione passiva da parte delle persone con autismo, ma laddove possibile, la progettazione di attività laboratoriali anche in collaborazione con professionisti e realtà esterne secondo i più attuali modelli di didattica sperimentale.
 

Sviluppo dei talenti

Un modello come quello sin qui descritto è fortemente basato su quello che potremo definire “sviluppo dei talenti” intendendo con questa espressione un sistema volto a valorizzare le risorse della persona con autismo, i suoi punti di forza e le sue potenzialità. Le proposte delle attività educative, dei Programmi Respiro, dell’Officina dell’arte o, ancora, del Programma “Vivi la città”, vanno tutte in questo senso pur senza che venga perso di vista il focus riabilitativo di fondo.
L’espressione “sviluppo dei talenti” è da intendersi anche in senso più ampio poiché un sistema di servizi così impostato funge da “rete” certamente per la persona con autismo e la sua famiglia ma anche per i professionisti stessi che non si trovano così a operare da soli, ma all’interno di un sistema che offre sostegno, spunti, continue occasioni di confronto e crescita professionale e umana. Affinché un intervento educativo-riabilitativo sia efficace, del resto, non basta un buon metodo, ma serve anche un buon terapista. Da qui l’esigenza di professionisti specializzati, adeguatamente formati e aggiornati e, non di meno, professionisti che, come sostiene Theo Peeters, siano anche attratti dalle diversità, disponibili a lavorare in équipe, dotati di vivace immaginazione e adattamento, umili, mai soddisfatti del proprio grado di conoscenza e con elevate capacità pedagogiche e analitiche. Se certamente nessun metodo può insegnare a tavolino queste particolari doti di sensibilità, umiltà, e creatività, sicuramente un sistema di presa in carico globale così come sin qui descritto contribuisce a “sviluppare i talenti” anche di tutti quei professionisti ogni giorno cercano e trovano strategie efficaci di fronte a situazioni sempre nuove per quella continua sfida educativa rappresentata dall’autismo.
 
 
 

 

 

 

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